Mercoledì 14giugno 2017 – ore 16,30 – Turi, Casa di reclusione
Convegno "Non per mania lamentatrice"
Il pensiero di Antonio Gramsci detenuto: storia e attualità a 80 anni dalla morte
Il Convegno di oggi ha il merito di affrontare il tema complesso dei diritti della popolazione carceraria e di ricordarne l'importanza, in relazione alla drammatica detenzione di Antonio Gramsci da lui descritta in una significativa lettera del 1933.
Si tratta di una riflessione utile, che riguarda il ruolo dei garanti dei diritti delle persone sottoposte a misure privative della libertà e che valorizza la funzione umanitaria di chi si batte per la tutela della salute fisica e psichica dei carcerati, nel solco della cultura civile di chi non intende la giustizia come vendetta.
Una missione difficile, in quanto costretta a svolgersi in un contesto fatto di risorse insufficienti, alle prese con strutture inadeguate e qualche volta destinataria di severe osservazioni (che spesso diventano condanne) da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo;
una missione resa ancor più difficile perché circondata dal clima di insicurezza che attraversa il Paese, dalla ostilità e dal pregiudizio che una parte della società manifesta nei riguardi del mondo carcerario, dai ritardi di un sistema giudiziario che rende indefinibile la certezza della pena e dalla ambiguità di talune sentenze, che disorientano e aumentano la sensazione di insicurezza dei cittadini.
Questo clima, per quanto comprensibile, impedisce persino di guardare con realismo alle statistiche, anche quando queste ci parlano di un calo sensibile dei reati.
Ciò accade perché l'opinione pubblica viene letteralmente aizzata da una incessante campagna allarmistica che una certa stampa, alcune testate televisive e soprattutto alcune ben note forze politiche portano avanti con veemenza, interessate non alla sicurezza di cittadini ma alla affermazione delle proprie visioni fatte di intolleranza e spesso di razzismo.
Va perciò dato atto alle strutture di garanzia e al volontariato per il lavoro difficile ma prezioso che essi svolgono, per garantire l'assistenza sanitaria adeguata ai carcerati e per mantenere vivo il filo della speranza volto al recupero sociale e morale del condannato.
Altrettanto pregevole è il lavoro dei volontari e del mondo della cultura, che cercano di interagire col mondo carcerario, attraverso la realizzazione di eventi di carattere artistico e culturale tesi a recuperare la funzione sociale del detenuto, allo scopo di promuoverlo nella sua dimensione umana e sociale.
Tra i numerosi eventi, vorrei ricordare il grande successo del film "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani, che ha avuto una eco straordinaria in quanto ha rafforzato verso quel mondo fatto di sofferenza, un generale sentimento di attenzione e di solidarietà che aiuta più di ogni vuota retorica;
e le tante iniziative in corso come ad esempio i premi letterari per i detenuti che esprimono i loro più intimi sentimenti, con le loro lettere che comunicano col mondo esterno, con i propri affetti e le proprie amicizie e che descrivono con realismo e sofferenza un mondo di attesa e di speranza.
Ma questo Convegno è importante anche perché compie una operazione di recupero della memoria storica, rendendo omaggio alla figura e all'opera di Antonio Gramsci, recluso in questo carcere dal 1928 al 1934, nell'809 anniversario della sua scomparsa.
In una famosa lettera del 27 giugno 1933, recuperata qualche anno fa, il grande pensatore sardo tratteggia il dramma dei tanti reclusi, che, pur ammalati e sofferenti, vengono tormentati da una organizzazione volutamente caotica che rendeva più atroce ia quotidianità della vita carceraria.
Alcuni studiosi hanno affermato la tesi che non si trattasse di semplici abitudini dovute alla rozzezza del personale di custodia, ma di una vera e propria strategia, volta ad esacerbare le sofferenze dei reclusi, specie di quelli "il cui cervello non doveva funzionare per vent'anni".
Con stile sobrio, sincero, persino accorato, Gramsci precisa che ii suo, ennesimo, grido di aiuto "non è dovuto a mania lamentatrice o a tendenza alla 'rosicatura' come si dice in stile carcerario"
ma alla necessità di accogliere l'umanissima richiesta di non disturbare il riposo diurno e notturno dei reclusi, con atteggiamenti che vengono descritti con crudo realismo:
- le porte "aperte e chiuse secondo il ritmo di una festa coi mortaretti";
il cinismo degli agenti, che imponevano quelle sofferenze e che tenevano a distanza fisica i reclusi, dicendo di non voler "diventare tubercolotici";
l'ottusità di chi "sbatacchiava le porte o correva per corridoi con le scarpe ferrate, o accendeva discussioni come all'osteria, o trascinava tavolini o batteva con le chiavi nelle sbarre dei cancelli un motivo d'opera o di canzonetta".
Gramsci chiede "che sia ripristinato il dominio della legge"
e che le norme vengano rispettate perché sono "obbligatorie oggettivamente e non già che esse possano essere o no applicate a seconda del ben volere".
Ormai allo stremo delle sue forze, continuava a sperare che la burocrazia, pur col suo cinismo e la sua rozzezza, tenesse in minimo conto almeno il valore umano della convivenza, se pure in quel particolare contesto.
A distanza di tanti anni, in una società finalmente libera e progredita, il tema della civile convivenza viene ormai affrontato con spirito civile e solidale, grazie alle azioni positive dei tanti protagonisti che ho richiamato.
A nome del Consiglio regionale della Puglia, esprimo pertanto il mio più incondizionato apprezzamento per l'impegno dei garanti e ringrazio gli organizzatori del convegno, sia per il tema scelto che per l'autorevolezza dei contributi che verranno dalle personalità invitate.